No all’Europa delle Nazioni. Rafforzare l’interazione
“…abbandonare l’idea di un’Europa nazionalista, impegnarsi a riconoscere e a interpretare il paradigma identità e diversità e rafforzare il progetto politico dell’interazione europea…”
Nella diversità dei capitalismi esistenti nell’attuale fase della globalizzazione all’Europa non si può non assegnare un ruolo strategico per la nascita di una politica industriale europea, perché, attingendo a fonti storiche precise, illuminismo e rinascimento sono “alimenti”, appunto, storici di un modello di democrazia capace di interpretare il trade-off tra ragioni dell’economia finanziaria e ragioni dell’industria per le comunità in cammino. Uscire dalla democrazia debole, rafforzando il progetto politico dell’interazione europea, è la speranza necessaria a cui dover dedicare gli sforzi del prossimo ventennio. Ma già Draghi nell’ultimo anno e la partenza del nuovo governo ci fanno capire che non usciremo facilmente dalla democrazia debole.
La raccomandazione da fare agli Stati – alla Germania in particolare – è quella di abbandonare l’idea di un’Europa che somigli più a se stessi (vedi il concetto di un’Europa tedesca) e lavorare affinché il paradigma identità e diversità sia pienamente riconosciuto e interpretato (Germania europea, Italia europea, etc. e così per tutti gli Stati aderenti).
La crisi globalizzata sta portando in tutti i Paesi del mondo verso riforme profonde che incidono non solo sulla vita economica dei cittadini, ma anche e soprattutto sulla loro vita sociale, con rinunce forti a diritti fondamentali. La ragione sta nell’identica struttura del suo strumento principale di sviluppo, dominato dalle grandi corporations. La differenza è data solo dall’attributo che viene accostato al sostantivo: capitalismo finanziario, capitalismo di Stato, capitalismo industriale, che con vaghe approssimazioni definisce i capitalismi esistenti.
La speculazione e la finanza controllano gli Stati, come succede in questo momento anche nelle democrazie occidentali, la stessa democrazia e i diritti dei cittadini sono traballanti.
Il nostro Paese vede la situazione generale in continuo peggioramento, mentre le consolatorie dichiarazioni ufficiali si riducono a promesse non mantenibili, né di crescita, e neppure di sicuri pareggi di bilancio, tutto è indifferente all’aumento della disoccupazione, al fallimento delle imprese e alla distruzione dello Stato sociale.
Chi ha una visione lunga del futuro dell’industria e della sua capacità di contribuire al valore dei territori e delle regioni, deve assolutamente respingere questa ipotesi di politica economica e/o industriale a favore di un progetto di riproposizione del ruolo irrinunciabile delle sviluppo industriale nella formazione dei valori etici, sociali e economici di un territorio.
Un modello federalista e solidale chiama anche le imprese a nuove responsabilità, fino a contrastare i fenomeni di federalismo all’americana che alimenta divisioni territoriali e non incoraggia i fenomeni di ricomposizione del ciclo produttivo che, invece, sono necessari ad un’Europa ancora con voglia d’industria.
La necessità di mantenere un tasso d’accumulazione vitale nel settore manifatturiero ed in quello delle infrastrutture viene contraddetta dai complimenti di Confindustria alla visione emergente del nuovo governo, che affossa definitivamente le deboli ipotesi del Pnrr e dà ragione al presidente della Svimez, Prof. Adriano Giannola, che rileva la crisi economica del Nord come fattore condizionante dell’indirizzo governativo.
Non a caso si propongono politiche di supporto all’impresa molto simili a quelle per il Mezzogiorno di qualche decennio fa, che hanno già dimostrato la loro inefficacia, con ipotesi di nuove ripartizioni della massa di sussidi di emergenza.
La crisi del Nord è profonda e i pannicelli caldi di una nuova autonomia e di una nuova economia sussidiata (aiuti per l’energia, cuneo fiscale generalizzato, risorse aggiuntive a scapito del Sud) rivelano l’incapacità di una borghesia manifatturiera a dare un contributo lungimirante al grande tema della produttività totale dei fattori, che, invece, dovrebbe ispirata a una logica di nuove economie, interne ed esterne, da generare con riforme che connettono i grandi standard materiali ed immateriali, territoriali. Era questa la logica annunciata, ma non perseguita, dal Pnrr.
L’Italia – secondo paese manifatturiero d’Europa – deve mostrare nuovamente la sua capacità di coprire in termini di rendimento sia il costo dei mezzi propri, ma anche il costo del debito d’espansione, diversamente la parola declino industriale assumerà significati nefasti per l’intera economia italiana.
Da questa breve analisi si evince la necessità di portare in correlazione positiva Roi e Roe, rendimento degli investimenti non lontano dal rendimento della finanza per evitare l’effetto spiazzamento definitivo degli investimenti strategici, necessari al Nord ma in connessione con quelli del Sud. Si ribadisce, visione auspicata dal Pnrr ma in palese tradimento strategico, che approfitta della debolezza dell’Europa, continente fragile, che sta per sconnettersi in cocci di nostalgie: riappare nuovamente l’Europa delle Nazioni.
Se la Cina vedrà nell’Europa e nell’Africa un potenziale tecnologico e di know how e deciderà di investire in Europa ed in Italia, vuol dire che anche il tasso di accumulazione manifatturiero italiano ha una probabilità di risalita (se solo un politica industriale e/o di sviluppo viene impostata con creatività sufficiente).
Ma chi ci parla di questo scenario in connessione ad una nuova politica industriale? Un Nord senza bussola? Nel 1957 una grande discussione nella Dc di allora respinse l’idea di rinunciare allo sviluppo del Sud e fu tentata una strada che diede i suoi frutti fino agli anni ’70.
E allora? Allora non può bastare l’attesa.
Pasquale Persico
Alcune informazioni su Pasquale Persico.
Il premio S. Vincent per l’Economia 1981, Consultant OCDE Parigi per scienze e tecnologia, Research Scholar alla London School of Economics, Ordinario di Economia politica. Per più mandati , Direttore del Dipartimento di Scienze economiche, Università di Salerno e presidente del Senato della ricerca. Ha insegnato in più Università tra cui Napoli, Roma, Bari e Cosenza. Studi di economia del lavoro, economia politica , politica economica ed economia applicata. Attualmente è Strategic Advisor CUGRI, centro di ricerca sul rischio di Unisa ed Unina, e Referee di agenzia del terremoto Emilia Romagna per bilancio sociale del decennale; direttore di più collane di ricerca e studi , tra cui La città e l’altra città in tandem con Maria Cristina Treu, e per la Fondazione Morra la collana Credenze , dove ha pubblicato nel 2020 il libro “Il sogno di una civiltà plurale”, ed Fondazione Morra.