27 Aprile 2024 13:58
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Draghi e la leadership della politica europea

Draghi e la leadership della politica europea

 

Identità e diversità dovrà essere il paradigma di riferimento del dopo elezioni.

Il ritorno di Draghi nella leadership della politica europea sembra allontanarsi, le ipotesi macroeconomiche su come arrivare ad un debito comune per dare sostenibilità ed incisività alla politica fiscale, necessaria per la sopravvivenza dell’identità del continente europeo (non ancora in decadenza definitiva), sono poggiate sulla capacità di pochi Paesi di elaborare un progetto keynesiano di riforma della funzionalità (efficacia ed efficienza ) del modello capitalista liberale dell’Europa che verrà. In realtà tutte le ipotesi di Draghi hanno un percorso fuori dalle tendenze auspicate dal modello Merkel, a cui lui indirettamente, o per parti, fa ancora riferimento. Quel modello è stato definitivamente avversato durante la presidenza Trump e dal  Pentagono durante la Presidenza Biden. L’Europa auspicata dalla  costituzione non approvata è stata boicottata, per responsabilità specifica della Francia, ed anche quella esistente viene poco applicata, pertanto anche la nuova idea di indebitamento graduale e comune della Germania, ha difficoltà ad emergere. Ma vediamo gli altri temi.

A un decennio dalla strage di Lampedusa, che scosse le coscienze europee, i 27 non sono riusciti a prendere le misure su un tema ultrasensibile sul piano elettorale e dalla cui gestione comune, però, non si può prescindere se si vuole cercare di capovolgere la necessaria piramide demografica. Il tema resta; la posizione dell’Unione rispetto al Mediterraneo dovrà, come minimo, essere  quella di sostenere la presenza dell’Unione Africana nei consessi internazionali e in particolare nel G20. L’impressione complessiva è che l’Unione europea sia strattonata tra una proiezione nordica e una meridionale e mediterranea, dimenticando l’insegnamento di Aldo Moro: “Nessuno è chiamato a scegliere tra l’essere in Europa ed essere nel Mediterraneo, poiché l’Europa intera è nel Mediterraneo”. Del vicinato mediterraneo, spesso, si dimentica che fanno parte anche i Paesi dei Balcani occidentali e la prospettiva di adesione di questi Paesi alla Ue è un tema complesso ancora senza un vero progetto di politica dell’intero Continente (specie in presenza dello stato di guerre multiple nel Mediterraneo). La spinta a potenziare competitività e produttività, rafforzando la politica industriale, favorendo la crescita, riducendo gli oneri amministrativi e le dipendenze strategiche, specie nei settori più sensibili, è poco analizzata da Draghi: prevale il tema della sostenibilità finanziaria ed il ruolo delle banche resta per Draghi cruciale per la sostenibilità dell’Unione bancaria. L’aspirazione della UE a diventare un player fondamentale sull’intelligenza artificiale cogliendone le immense opportunità, accanto alle altre opzioni relative all’industria a zero emissioni nette e alle materie prime critiche, ha molte azioni appena alla partenza.

In gioco ci sono la resilienza e la sicurezza economica dell’Unione i cui interessi vanno difesi coniugando tale protezione con il preservare quell’economia aperta che deve restare uno dei tratti distintivi dell’Unione stessa. Un tema che diventa scivoloso in un momento in cui per l’Unione è fondamentale valutare gli impatti in Europa della legge statunitense sulla riduzione dell’inflazione (Inflation Reduction Act– IRA) e l’efficacia delle misure di risposta adottate sia dall’Unione che dai suoi Stati membri in maniera non coordinata. E, qui, emerge la visione ancora in ritardo sulla politica economica europea – ed in particolare sulla politica industriale – che senza una strategia indebolisce anche le cosiddette periferie competitive legate alla geografia del manifatturiero. Su questi temi il PNRR ha tentato di avere un approccio, guardando al Mezzogiorno dell’Europa da connettere ai Sud a Sud dell’Africa. Lo sguardo ad altri continenti è sospeso, e dare spessore strategico alla rimodulazione delle catene del valore globale non sarà una passeggiata indolore. Occorrerà una nuova geografia di riferimento, tutta da promuovere rispetto al tema dei distretti competitivi di cui si è parlato sia in Italia che in Germania durante il periodo della leadership della Merkel, che sapeva parlare in russo ed in inglese e perfino un poco il napoletano.

Come evitare la scomparsa delle periferie competitive è invece centrale ed un primo piccolo focus è stato illuminato dall’amico economista Luigi Esposito. Egli ci ha già illustrato il ritardo da colmare in termini di ricerca applicata e di governance  territoriale per fare crescere la dimensione d’impresa. La recente esperienza degli ecosistemi di innovazione che ha coinvolto la ricerca applicata dei dipartimenti universitari e degli istituti CNR e molti partenariati industriali diffusi sul territorio, ha bisogno di valutazioni rigorose e trasparenti. Prevale una tendenza oramai esplicita ad andare verso uno spiazzamento,  rafforzando la ricerca e sviluppo sulla sicurezza e sulla difesa, rinviando la storica esigenza di portare la spesa in ricerca e sviluppo non in armamenti al di sopra del 2% del Pil.

Tre mesi sono pochi, e non saranno sufficienti nemmeno le deboli, ma necessarie,  raccomandazioni di Draghi, per dare trasparenza alla politica economica. I decisori europei non sono in entropia positiva e non appaiono “animati” dalla preoccupazione del bene comune delle nostre patrie europee. Già, la nostra Patria Europa. Sarebbe tutto più semplice se i fatti riuscissero a dimostrare a tutti (come è già chiaro a molti) che essa non è in contrasto, ma in  fraternità inscindibile con le nostre patrie nazionali. Identità e diversità dovrà essere il paradigma di riferimento del dopo elezioni.

Pasquale Persico economista

 

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