27 Aprile 2024 8:29
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Periferie competitive

Periferie competitive

Lo sviluppo dei territori nell’economia della conoscenza (Il Mulino) – di Giulio Buciuni e Giancarlo Corò –

Il libro sollecita un approfondimento. L’amico ed economista Luigi Esposito ha già dato un contributo importante sulle quasi-rendite delle economie esterne, in altri scritti e ci offre una prima riflessione. Eccola. “Caro Prof. sto leggendo il volumetto che mi hai donato e, in particolare, sto approfondendo il problema dei crescenti divari within countries da imputare allo sviluppo economico abnorme di centri metropolitani come Londra, Parigi, Milano ed altri. (v. soprattutto Cap. II, pp.43-79). Gli Autori partono da una premessa: l’Italia, ma anche la Francia, la Germania, ecc. resta un Paese con una struttura economica avente una fortissima presenza manifatturiera diffusa (ma io direi anche una forte presenza di distretti industriali a diversa densità); ciò nonostante, l’area metropolitana a più forte sviluppo di Pil (o forse di reddito disponibile, ma qui c’è un po’ di confusione perché non sembra che gli Autori siano esperti profondi anche di Statistica Economica) è quella di Milano. Città  che, nell’ultimo quarto di secolo, ha abbandonato la coltivazione degli assets  materiali per dedicarsi a processi sempre più intensi di dematerializzazione ecc. ecc. ecc.  Il tutto, aggiungerei, potendo beneficiare sempre delle stesse buone strutture universitarie (ma l’evoluzione interna eventuale di queste ultime mi è sconosciuta e non mi azzardo pertanto ad avanzare ipotesi specifiche). Mi chiedo: ma esiste veramente un’incongruenza, una contraddizione, fra la vocazione manifatturiera (e, anzi, addirittura distrettuale) del Paese Italia e la velocità con cui un’area metropolitana come quella milanese ha messo le ali alla sua crescita economica fondata essenzialmente sulle nuove tecnologie, sulle nuove conoscenze, senza rivelare affatto un forte sviluppo di unità locali destinate alla produzione industriale? Ebbene, oserei affermare che non esiste alcuna contraddizione di questo tipo, almeno se per un attimo ritorniamo a quel concetto di impresa complessa, e di azienda vertice di un’impresa complessa, che abbiamo analizzato nel precedente articolo pubblicato su  Salerno Economy. Non è il caso di dilungarsi: meglio utilizzare subito un esempio classico, quello dell’alta moda, concentrata da decenni nell’area milanese sia pure con fughe a Firenze e Roma. Nel Milanese si concentrano tutte le attività orientate al prodotto (colori, tessuti, modelli, ecc.) e tutte quelle di marketing in senso stretto, dalla programmazione delle sfilate a quella delle varie fasi della promozione e della vendita. Restano fuori, appunto, tutte la attività di produzione dei capi, decentrate altrove (restando in Campania, dal Beneventano ad alcune aree del Vesuviano, ad altre di Napoli e Caserta ove trattasi di produzione di scarpe e borse). Dunque, c’è un vertice milanese che possiede, o semplicemente controlla, altre realtà aziendali incaricate di svolgere funzioni evolute; inoltre, esso s’incarica di reperire ed utilizzare microstrutture distrettuali cui vengono appaltate compiti di produzione esecutiva, senza che con tali realtà aziendali ci siano necessariamente rapporti di tipo organico, (si ricorda la distinzione di Marx nello sviluppo del Capitalismo tra manifattura organica e disorganica)

Mi sembra un’interpretazione esaustiva della realtà dei fatti. Più in là cercherò di approfondire le altre problematiche presenti nel volumetto, e soprattutto la possibilità di estendere il tema delle periferie competitive in altre aree o regioni”.

Pasquale Persico economista

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