27 Aprile 2024 21:17
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I Sarti Volanti di Annarosa Macrì

I Sarti Volanti di Annarosa Macrì

Intervista ad Annarosa Macri

“Sarti volanti”. Vogliamo partire dal titolo? Chi sono i “sarti volanti”?

Siamo noi. Io, tu, chi ci legge, tutti. Artigiani della vita. Agi, filo e forbici, seduti su un gradino…  accorciamo, stringiamo, prendiamo le misure, mettiamo toppe… aggiustiamo la nostra vita e magari anche  quella degli altri, e qualche volta, solo qualche volta, ci riusciamo.

Com’è nata l’idea di scrivere questo romanzo?

Avevo buttato giù un po’ di storie… erano imbastite tra loro, accostate, provvisorie, ma non erano rifinite. Poi, un pomeriggio piovoso d’autunno, nella semi periferia romana, all’incrocio tra via Casilina e Torpignattara, alla fermata del 105, che è un autobus, come dicono tutti, “che non passa mai”, e l’attesa, si sa, aiuta all’incontro tra le persone, una anziana signora mi raccontò la sua vita. Aveva “campato la famiglia”, mi disse, facendo la sarta “riparatrice”, lavorando per un paio di “negozi di confezioni”, ma la sua attività era finita quando erano arrivati dall’India, dal Marocco, da chissà dove, dei giovani sarti “approssimati”, che per quattro soldi, seduti sui gradini di piazza Vittorio, accorciavano orli, stringevano abiti… niente a che vedere con lei, che era una sarta “rifinita”, e che, solo per fare un orlo, prendeva quattro o cinque misure, perché il nostro corpo, si sa, non è asimmetrico. 

Ecco, io pensai che quella anziana signora mi aveva raccontato non solo la sua vita, ma la metafora della vita di tutti, che “rifiniti” o “approssimati” aggiustiamo le nostre esistenze. E le storie, cucite insieme, diventarono un romanzo, 

Un romanzo di sentimenti. Che parla di amore, di morte, di malattia… un libro triste, insomma.

È un romanzo di bilanci, e i bilanci esistenziali sono quasi sempre “a perdere”. 

È un romanzo sull’amore, e quindi sulla morte. L’amore incontra sempre la morte. La morte dell’amato o dell’amata, o la morte dell’amore. Il nostro, o quello di chi amiamo.

È un romanzo sulla asimmetria dei sentimenti.

La protagonista di Sarti volanti si chiama Amélie. Ha studiato Lettere, è appassionata di letteratura, per un po’ ha campato facendo tesi e tesine a pagamento, poi ha deciso di mettere su un laboratorio per aggiustare vestiti. Perché questa scelta?

Suo padre era un sarto. Muore quando lei, dopo una serie di fallimenti amorosi che la portano alla depressione, è tornata a casa, in Calabria. È sua madre Rosa a scuoterla, a farla guarire, a farla in qualche modo rinascere; è lei che la spinge ad aiutare suo padre, in sartoria. La famiglia è il lavoro, insomma, la salvano. Morto il padre, lei decide di prenderne l’eredità, e siccome non ha la sua creatività, apre, appunto, un laboratorio di riparazioni, a Roma.

Dicevi della madre di Amélie, Rosa, che è, mi pare, un po’ l’alter ego della figlia…

Sì, si assomigliano. Sono due donne sensibilissime, complicate e irrisolte. Tutt’e due, per dire, vivono una grande storia d’amore, ma immaginata, sognata, fatta di illusioni e di parole… è l’altro grande tema del libro: l’amore, quando si cala nel quotidiano della vita vissuta, diventa un’altra cosa, deludente, imperfetto, buio… solo il sogno salva dalla routine.

E poi tanti altri personaggi…

Sì. Il racconto attraversa due generazioni, quella di Amélie e quella di Rosa, attorno alla quale vivono uomini e donne straordinari, “quelli del secondo dopoguerra”, che mi hanno sempre affascinato, perché hanno “aggiustato” l’Italia, facendola uscire dalla miseria e dalla disperazione.

I personaggi sono tanti, si, e qualcuno, destinato in un romanzo classico ad essere “minore”, solo comparsa, ha preteso un suo spazio, si è fatto largo nella storia…

La storia si muove tra Parigi, Roma e la Calabria. Sono i tuoi luoghi?

Qualcuno si. Parigi è la città-sogno, l’altrove, di molti dei personaggi del romanzo, anche se per qualcuno diventa un luogo violento e respingente: la Roma raccontata è quella a sud di piazza Vittorio: la Casilina, la Prenestina, Centocelle, la Roma degli migranti. Poi c’è la Calabria, e soprattutto lo Stretto di Messina, che è il mio paesaggio dell’anima. Dentro quel pezzo di mare “finito”, perché l’orizzonte è chiuso, Amélie abortisce suo figlio e vengono disperse le ceneri di Rosa: la vita e la morte…

Il romanzo non è diviso in capitoli, ma in “variazioni”, trenta, quante le Variazioni Goldberg di Bach. Perché?

Perché il racconto è un flusso di memoria intorno al tema amore/morte e ciascuna “variazione” ne racconta un aspetto, attraverso il vissuto di Amélie. Le “variazioni” del mio libro possono essere “montate” anche diversamente, cioè di può leggere, per dire, prima la settima, dopo la ventesima, o come si vuole: la trama funziona lo stesso. 

Tu sei una giornalista, e “Sarti volanti” non è il tuo primo romanzo. Hai già scritto“ ‘Il mercante di storie”, “Ali voleva volare”,  “Corpo Estraneo”, “Da che parte sta il mare”. Perché una giornalista decide di abbandonare la cronaca per entrare nella fiction?

Io sono una “giornalista di storie”. Ho avuto un grande maestro, Enzo Biagi, ho lavorato a lungo al suo fianco e lui mi ha insegnato che non c’è tema o problema – la guerra, la crisi economica, quella sanitaria, quella ambientale – che non passi attraverso la vita delle persone. Ed è attraverso le loro storie che la Storia  deve essere raccontati. Negli anni, per deformazione professionale e per antica attitudine, ho imparato a “leggere” le storie delle persone, e tante di queste storie mi sono rimaste dentro e mi chiedevano di essere raccontate…

C’entra Biagi con questo romanzo?

Sì, c’entra con la scrittura di questo romanzo. Che affronta temi duri, ruvidi, spigolosi, ma con un linguaggio semplice e una sintassi piana, quasi priva di subordinate. Questo è l’insegnamento fondamentale che Biagi mi ha dato: diffidare da chi scrive complicato. La limpidezza della scrittura, lui diceva, è un fatto, anche, di onestà nei confronti del lettore, che non può essere “imbrogliato”.

La scrittura, dunque. Che mi pare sia uno dei temi forti, forse il più forte, del tuo romanzo. La scrittura è terapia – il romanzo nasce dalla sollecitazione a scrivere che Amélie riceve dalla sua psicoterapeuta – ed è sublimazione, perché è attraverso la scrittura che Amélie si rapporta con il vero amore della sua vita, Giovanni, che non a caso è uno scrittore…

 

Alcune note biografiche di Annarosa Macrì

Annarosa Macrí, calabrese, laureata in Lettere all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha frequentato i corsi di Teoria e tecnica delle Comunicazioni di Massa all’Università Pro Deo (ex Luiss) di Roma.

In Rai dal 1978, ha fatto parte, come programmista-regista, del nucleo storico della Terza Rete decentrata, realizzando decine e decine di inchieste e documentari per la radio e per la televisione in Italia e all’Estero: Canada Canada ha vinto il Premio nazionale di regia Vallombrosa Tv e il film L’isola dei tigli, girato in Germania dell’Est, è stato trasmesso da tutte le televisioni europee.

Giornalista della Redazione calabrese della Rai, ha realizzato innumerevoli servizi per i Tg e le rubriche regionali e nazionali. Per Levante (Raitre) ha raccontato, come inviato, i mutamenti della ex Jugoslavia; ha lavorato nella redazione di Milano, Italia e per Money Line.

Dall’inizio degli anni Novanta ha svolto la sua attività prevalentemente a Milano, come inviata e curatrice di alcuni dei programmi di maggior successo di Enzo Biagi, “I dieci comandamenti all’italiana”, “La storia”, “Il fatto”, “Rt – Rotocalco televisivo”, e, dopo la morte di Biagi, “Rt-era ieri”.

Tra le sue pubblicazioni: A Berlino un bouganville, I ragazzi di Locri, L’ultima lezione di Enzo Biagi, Il mercante di storie, Alì voleva volare, Da che parte sta il mare (Premio Moncalieri per la narrativa), Corpo estraneo (Premio Cultura Mediterranea e Premio Padula). E, appena pubblicato, Sarti volanti.

E’ stata insignita dal Presidente della Repubblica della benemerenza di Commendatore per i suoi meriti culturali.

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